Il noto psicologo statunitense Urie Bronfenbrenner sosteneva che i bambini crescono e fioriscono non solo grazie alla presenza e al sostegno dei genitori, ma anche alla vicinanza di altri adulti che li incoraggiano e li guidano. Bronfenbrenner è noto per la cosiddetta teoria ecologica, secondo cui l’ambiente sociale in cui cresce il bambino – ovvero l’insieme costituito da più sistemi tra loro interdipendenti e correlati (come famiglia, scuola, eccetera) – ha una grande influenza sul suo sviluppo. Secondo lo psicologo, in particolare, il fatto che il bambino riesca nella propria vita futura è strettamente connesso alla possibilità di avere, durante l’infanzia, relazioni significative con gli adulti intorno a sé.
Oggi, soprattutto a causa degli impegni lavorativi sempre più pressanti, non è sempre facile per i genitori trovare la disponibilità di tempo e l’energia sufficienti per dedicarsi ai figli a 360 gradi. Anche per questo è maggiormente riconosciuta l’importanza del ruolo della terza età nel processo di crescita dei più piccoli e diventa sempre più evidente che i nonni – ma anche gli altri anziani – rappresentano una risorsa fondamentale per la società, come dimostrano i tanti progetti di educazione intergenerazionale internazionali (in Italia, in Europa ma anche oltreoceano, per esempio in USA) che mettono in contatto anziani e bambini.
In questo articolo capiremo cosa si intende per educazione intergenerazionale, perché è importante e, nel caso di anziani e bambini, quali sono i vantaggi per entrambi i gruppi.
Che cos’è il dialogo intergenerazionale e perché è utile?
Per dialogo intergenerazionale si intende lo scambio fra due generazioni diverse, che arricchisce entrambe le parti grazie a un confronto di punti di vista, mentalità, conoscenze, approccio alla vita. In particolare, gli autori Kaplan, Sanchez e Hoffman – sono, rispettivamente, professori di Programmi intergenerazionali e Invecchiamento alla Pennsylvania State University, di Sociologia presso l’Università di Granada e di Socio-gerontologia presso la North-West University di Vanderbijlpark in Sudafrica – nel loro libro del 2017 “Intergenerational Pathways to a Sustainable Society”, sostengono che le relazioni intergenerazionali siano la via per sviluppare e mantenere un senso di fiducia tra le persone in un’epoca in cui sentimenti di coesione sociale si stanno affievolendo sempre di più. Non è un caso, infatti, se negli ultimi decenni ci sia stato un aumento delle iniziative intergenerazionali a livello internazionale, che mirano proprio a facilitare la cooperazione e lo scambio tra gruppi di età differenti.
In particolare, l’apprendimento intergenerazionale può essere definito come una sorta di patto educativo che include persone di età diverse: basato su reciprocità e mutualità, vede individui appartenenti a varie generazioni lavorare insieme per acquisire competenze e valori.
Alla base dell’apprendimento intergenerazionale, dunque, c’è l’idea che persone di tutte le età possano imparare insieme l’una dall’altra. Questo è un processo che si verifica spontaneamente all’interno delle famiglie, dove la conoscenza viene condivisa di generazione in generazione. Recentemente, tuttavia, grazie a vari studi, si è osservato che questo passaggio risulta facilitato quando avviene in gruppi sociali più ampi, fuori dalla cerchia familiare.
Anziani e bambini: perché è importante che comunichino
Nella società odierna, le diverse generazioni tendono spesso a condurre vite separate e la mancanza di contatto fra loro può portare a un deterioramento della coesione sociale all’interno della comunità.
Laura Carstensen – professoressa di psicologia alla Stanford University, nonché direttrice dello Stanford Center for Longevity – nel suo report Hidden in plain sight: how Intergenerational relationships can transform our future, del 2016, sostiene che nei prossimi decenni la popolazione over 70, negli Stati Uniti, aumenterà ancora di più, rappresentando un patrimonio di esperienza utile allo sviluppo delle giovani generazioni. Una preziosa risorsa che è sotto gli occhi di tutti, ma che al momento non viene presa sufficientemente in considerazione, secondo l’esperta.
Nei suoi studi, in particolare, la Carstensen ha scoperto che quando il cervello delle persone invecchia tende a migliorare sotto diversi punti di vista, ad esempio nella risoluzione di problemi complessi e nelle abilità emotive. Per questo è convinta che sia uno svantaggio per la società non condividere questa saggezza e questo sapere con le generazioni più giovani. Il dialogo intergenerazionale, infatti, è un ottimo modo per i bambini di acquisire il senso della storia, del contesto in cui vivono e delle prospettive future. I più piccoli hanno bisogno degli anziani per costruire la propria identità e una persona anziana può anche diventare un punto di riferimento importante, soddisfacendo quel bisogno infantile di avere qualcuno da assumere come modello da seguire.
Avviare un buon dialogo intergenerazionale tra anziani e bambini è vantaggioso in quanto rappresenta la base per:
- costruire comunità attive e più sicure;
- ridurre l’ineguaglianza;
- diminuire l’isolamento sociale e la solitudine degli anziani;
- costruire relazioni di valore;
- migliorare la salute e il benessere psicologico;
- aumentare la connettività digitale degli anziani.
Vediamo ora nel dettaglio quali sono gli aspetti positivi del dialogo intergenerazionale per ciascuna delle due categorie.
Dialogo intergenerazionale: i vantaggi per gli anziani
Dagli studi effettuati in questi anni, è stato rilevato che i programmi intergenerazionali possono portare numerosi benefici sugli anziani, tra cui:
- aumento dell’autostima;
- miglioramento del benessere;
- maggiore contatto sociale;
- minore senso di ansia;
- incremento della memoria;
- più mobilità fisica;
- maggiore senso di appartenenza sociale.
Anche il senso di accettazione e l’affetto derivanti dal dialogo intergenerazionale sono preziosi nella terza età, perché la persona sente di avere qualcosa di significativo da trasmettere a qualcuno di più giovane.
Colmare le distanze tra anziani e bambini attraverso programmi di questo tipo può dunque favorire lo sviluppo di nuovi scopi e significati quando si è raggiunta una certa età. Inoltre, queste relazioni offrono agli anziani l’opportunità di conoscere nuove tendenze e tecnologie, e di vedere il mondo attraverso una prospettiva diversa.
I vantaggi del dialogo intergenerazionale per i bambini
Un contatto stretto e continuativo con le persone anziane offre tanti benefici anche per i bambini, ad esempio lo sviluppo di atteggiamenti positivi verso la terza età e il miglioramento delle abilità sociali.
Inoltre, sempre Laura Carstensen sostiene che quei bambini che hanno a fianco un mentore adulto, oltre alle figure genitoriali, possono godere di vantaggi significativi, ad esempio imparare abilità come il pensiero critico, la risoluzione dei problemi e l’interazione sociale.
Sono tutti aspetti molto importanti perché consentono agli individui di contribuire in modo significativo alla società, e che favoriscono il successo a scuola e sul lavoro. Si tratta di atteggiamenti e strategie necessari per muoversi efficacemente in un mondo sempre più complesso, capacità che gli anziani possono veicolare grazie alle loro esperienze di vita.
Cosa sono e a cosa servono i programmi intergenerazionali
I programmi intergenerazionali coinvolgono soggetti di età diverse in numerose attività.
L’intento condiviso è quello di promuovere l’invecchiamento attivo della popolazione anziana, ovvero favorire la partecipazione sociale della terza età, riducendo l’isolamento e la passività.
I progetti intergenerazionali vogliono creare relazioni tra generazioni, anziani e bambini, generalmente con questi obiettivi:
- favorire il rafforzamento della coesione sociale;
- aumentare il contatto fra le persone e la comprensione reciproca;
- creare relazioni significative;
- stimolare la crescita emotiva e sociale.
In Italia, nell’ultimo ventennio, ne sono stati avviati sia da enti privati (come cooperative sociali con l’aiuto di soggetti locali) sia attraverso il finanziamento della Commissione Europea all’interno di progetti internazionali. In entrambi i casi, viene favorito il contatto fra le due generazioni, o grazie alla coesistenza di strutture di accoglienza come asili e case di riposo nello stesso luogo, oppure all’organizzazione di incontri regolari basati su interessi comuni di anziani e bambini (la natura, la bici, l’attività artistica, ad esempio).
In particolare, Yoh Murayama e gli altri autori dello studio The effect of intergenerational programs on the mental health of elderly adults, pubblicato nel 2015, sostengono che i programmi intergenerazionali diretti agli anziani possano essere importanti promotori della loro salute, riducendo il rischio di isolamento e solitudine e aumentando il senso di appartenenza.
Anziani e bambini: attività che possono fare insieme
I programmi intergenerazionali possono prevedere progetti e attività diverse, ecco alcuni esempi:
- Giovani e anziani si incontrano per condividere esperienze di apprendimento e per conoscersi meglio.
- Volontari anziani seguono gli allievi a scuola;
- Giovani volontari forniscono aiuto e servizi a persone anziane, ad esempio accompagnandole durante le commissioni, leggendo con loro, andandoli a trovare.
- Volontari senior aiutano i giovani genitori nella cura dei figli.
- Bambini piccoli visitano le persone malate di demenza nelle residenze assistenziali.
Doll Therapy: uno strumento per attivare, nell’anziano, le dinamiche di affetto e cura
Come abbiamo visto, il grande vantaggio del dialogo intergenerazionale per gli anziani consiste nel miglioramento del loro stile di vita e in un generale benessere che dipende da un ritrovato senso di appartenenza e di scopo, oltre che dalla possibilità di esprimere ancora la propria affettività ed emotività.
Proprio per sviluppare le dinamiche di cura e affetto di cui necessita l’anziano, in Real Salus è stata formulata un’attività pensata specificamente per i pazienti malati di demenza e Alzheimer, la Doll Therapy. Si tratta di un’attività basata sull’interazione fra un’apposita bambola e l’anziano, allo scopo di attivare le dinamiche citate. Similmente al dialogo intergenerazionale, questa pratica è in grado di richiamare a livello profondo i meccanismi dell’accudimento primordiale, con effetti positivi su stati d’ansia, agitazione, rabbia e apatia, perché l’anziano si sente più protetto.
A mettere in pratica la Doll Therapy è stata la psicoterapeuta svedese Britt Marie Egedius Jakobsson che, negli anni Novanta, ha realizzato la prima bambola per il figlio affetto da autismo. In Italia, questa terapia è stata introdotta dal dott. Ivo Cilesi, pedagogista ed esperto di Alzheimer, che ha studiato e curato la realizzazione della bambola oggi utilizzata per la terapia e diventata un presidio medico.