“ Il rapporto annuale 2025. La situazione del paese “
Lo scorso 21 maggio, presso Palazzo Montecitorio, il Presidente dell’ISTAT ha presentato il “Rapporto annuale 2025. La situazione del Paese”, tracciando un quadro lucido e articolato dell’Italia di oggi.
Fra i tanti temi affrontati, spicca quello dell’invecchiamento della popolazione, che nel terzo capitolo – intitolato “Una società per tutte le età” – viene analizzato con particolare attenzione, sia sul piano demografico che su quello sociale, culturale ed economico.
Invecchiare, oggi, non è più solo una questione anagrafica: è una sfida collettiva che coinvolge la coesione sociale, l’equità tra generazioni, la capacità delle istituzioni di prendersi cura, e l’immagine stessa del futuro.
Sempre meno giovani, sempre più anziani: l’Italia davanti allo specchi
L’Italia è un Paese che invecchia a ritmo sostenuto. Al 1° gennaio 2025, il 24,7% della popolazione ha almeno 65 anni. Un dato che, se da un lato riflette i successi sanitari e i progressi nella qualità della vita, dall’altro impone una profonda riorganizzazione sociale.
Il dato più emblematico riguarda gli over 80, saliti a 4,6 milioni: un numero che supera quello dei bambini sotto i 10 anni. Una fotografia che racconta di una nazione in trasformazione, dove il saldo naturale è fortemente negativo – con 651mila decessi e solo 370mila nascite nel 2024 – e dove le Aree Interne registrano i cali più marcati (-4,6%).
Questo squilibrio demografico mette sotto pressione i sistemi di welfare e solleva interrogativi sul futuro della forza lavoro, della produttività e del sostegno intergenerazionale.
Vivere più a lungo, vivere meglio?
L’aumento dell’aspettativa di vita è un traguardo significativo: 81,4 anni per gli uomini e 85,5 per le donne. Ma vivere più a lungo non significa necessariamente vivere meglio.
Secondo l’ISTAT, si riducono gli anni vissuti in buona salute, soprattutto per le donne: nel 2024, gli uomini possono aspettarsi in media 59,8 anni di vita sana, le donne solo 56,6. A ciò si aggiungono disuguaglianze territoriali e sociali che penalizzano il Sud e le fasce di popolazione più fragili. Il disagio psicologico è in aumento, così come le difficoltà di accesso ai servizi sanitari.
Le persone con disabilità, spesso anziane, convivono con più patologie croniche e dichiarano condizioni di salute molto critiche. Questi dati invitano a ripensare il modello di assistenza e prevenzione, promuovendo interventi mirati per garantire non solo longevità, ma anche benessere diffuso.
Le generazioni convivono, ma non sempre dialogano
Una delle osservazioni più interessanti del rapporto riguarda la prolungata coesistenza tra generazioni. Oggi convivono tre, a volte quattro generazioni: adulti nati nel dopoguerra, figli nati negli anni ’70-’80, e nipoti. Questo fenomeno potrebbe rappresentare un’enorme ricchezza relazionale e culturale, ma spesso si traduce in una convivenza silenziosa, senza reale scambio. L’ISTAT suggerisce una lettura “generazionale” dei bisogni: ogni età ha risorse, aspirazioni e fragilità specifiche.
Le condizioni di salute nelle generazioni più recenti sono migliorate grazie a una migliore alimentazione, maggiore istruzione e stili di vita più sani, ma persistono forti disuguaglianze che incidono sulla qualità dell’invecchiamento. Servono politiche in grado di creare ponti tra le generazioni, valorizzando il ruolo attivo degli anziani senza caricare eccessivamente le famiglie più giovani.
Le famiglie si rimpiccioliscono, la solitudine cresce
Parallelamente al mutamento demografico, cambia la struttura delle famiglie. I nuclei con figli si riducono, aumentano le famiglie monocomponenti, oggi pari al 36,2%. Tra gli over 75, quasi il 40% vive da solo, con una prevalenza femminile.
La solitudine, in questo contesto, non è solo una condizione affettiva, ma un fattore di rischio per la salute fisica e mentale. Tuttavia, secondo l’ISTAT, il 94,2% degli anziani dichiara di avere almeno un parente, vicino o amico su cui contare. Il tessuto relazionale tiene, ma è fragile e molto dipendente dal contesto territoriale.
Le RSA e le strutture residenziali, in questo scenario, assumono un ruolo strategico non solo come luoghi di cura, ma come spazi di prevenzione e inclusione, dove si combatte l’isolamento con la relazione quotidiana.
Istruzione e partecipazione: l’identità che cambia
Gli anziani di oggi non sono più quelli di una volta. Sono più istruiti, più informati, più attivi. Il 34% ha almeno un diploma, con picchi più alti nelle aree urbane. Questo incide positivamente sulla salute, sull’autonomia decisionale, sulla capacità di orientarsi tra servizi e diritti.
Le generazioni nate tra gli anni ‘40 e ‘50, cresciute in tempi di grandi trasformazioni sociali, hanno interiorizzato una cultura della partecipazione e dell’attivismo che si riflette ancora oggi in una forte presenza nel volontariato e nella vita pubblica. Questi anziani rappresentano un capitale sociale prezioso, spesso trascurato, che può contribuire alla costruzione di comunità più coese e solidali, se adeguatamente coinvolti.
Le fragilità economiche non risparmiano gli over 65
Nel 2024, il 9,7% della popolazione vive in povertà assoluta. Tra gli over 65, l’incidenza è del 6,2%, ma i rischi aumentano per chi vive solo o ha pensioni basse. Le famiglie anziane spendono circa il 20% del proprio bilancio per l’alimentazione e il 6% per la salute, contro rispettivamente il 16,8% e il 2,7% delle famiglie più giovani.
La povertà si manifesta dunque anche come minore accesso alle cure, ai beni essenziali, al supporto. Le disuguaglianze territoriali accentuano queste difficoltà, con il Mezzogiorno più esposto al rischio di esclusione sociale. Garantire una vecchiaia dignitosa significa anche rafforzare i sistemi di protezione economica e i servizi locali di prossimità.
Servizi sociali: troppo pochi, troppo diseguali
Il sistema dei servizi sociali fatica a rispondere all’aumento della domanda.
Nel 2022 i Comuni hanno speso 10,9 miliardi per il welfare sociale, ma la quota destinata agli anziani è in calo: da 107 euro per anziano nel 2012 si è passati a 93 euro nel 2022. La forbice tra territori è ampia: si va da 174 euro per anziano nel Nord-est a 40 euro nel Sud.
In Italia ci sono oltre 12.300 strutture residenziali con 408mila posti letto, ma il fabbisogno cresce e la copertura resta insufficiente. L’80% degli ospiti è non autosufficiente, quasi tre su quattro sono donne. I costi ricadono spesso sulle famiglie, che devono integrare le rette o, nei casi più critici, rinunciare all’assistenza.
Investire nei servizi è prioritario per garantire equità, dignità e continuità di cura.
Il punto di vista di Real Salus
«Il messaggio che emerge dal Rapporto ISTAT è che l’invecchiamento della popolazione è una trasformazione che va governata. È indubbiamente fondamentale potenziare i servizi, investire nella prevenzione e nel benessere, ridurre le disuguaglianze e sostenere la partecipazione sociale.
Per una struttura come la nostra significa sentirsi parte attiva di questa visione, perché lavoriamo ogni giorno per garantire luoghi accoglienti, inclusivi, culturalmente stimolanti, capaci di offrire non solo cure, ma senso di appartenenza..»
— Leonardo Folchi, Responsabile dell’organizzazione aziendale delle Residenze per Anziani Real Salus.
Fonti:
ISTAT: https://www.istat.it/produzione-editoriale/rapporto-annuale-2025-la-situazione-del-paese-il-volume/
ISTAT: https://www.istat.it/wp-content/uploads/2025/05/Capitolo-3-rapporto2025.pdf